I bambini dell’horror vacui

Una nuova tipologia di bambini in arrivo? No, solamente “normali”

Se rivolgiamo l’attenzione alla scuola primaria, ma con uno sguardo attento anche sul triennio della scuola dell’infanzia, possiamo osservare che le classi si stanno gradualmente popolando di una tipologia di bambino che potremmo provvisoriamente denominare “disorganizzato” con una definizione volutamente vaga, e che, per evitare ulteriori etichettamenti, chiameremo semplicemente “D”. Voglio chiarire fin da ora che il bambino D non è affatto una nuova categoria di bambini: ne sono state già aggiunte fin troppe e i genitori in pena non fanno altro che vagare sul Web alla ricerca dell’etichetta giusta da mettere sui loro bambini difficili (e ne trovano a iosa). Quando parlo di “bambino D” mi riferisco prima di tutto a una grande varietà di individui accomunati soltanto da un nucleo comune di esperienze, di modalità di relazione e di organizzazione delle capacità e delle emozioni. Le componenti di quel nucleo comune sono anch’esse variabili tra soggetto e soggetto. Si tratta in altri termini non dell’ennesimo bambino speciale ma del genere di bambino che si sta avviando a divenire normale o medio.

Il bambino D si caratterizza soprattutto per avere non bisogni speciali, bensì bisogni normali ma disattesi: a puro titolo di esempio, aveva bisogno di accudimento e presenza ma è stato inserito troppo precocemente in strutture educative, aveva bisogno di tempo per maturare e apprendere ma è stato sollecitato a produrre performance che non era ancora in grado di dare… Ha bisogno di spazi aperti e movimento spontaneo ma passa ore e ore al chiuso e fermo. Ha vissuto i primi anni di vita in modo disarmonico, con troppe figure di riferimento e troppi cambiamenti; prevalentemente in ambienti piccoli e chiusi, in strutture governate da adulti, tanto che le esperienze motorie spontanee ne escono massimamente sacrificate, a favore, spesso, di un uso/abuso di mezzi tecnologici che partono dalla semplice televisione per arrivare al tablet e alla consolle per videogiochi. Il bambino D è un bambino sovrastimolato, per di più in modo assai sbilanciato, con eccessi e carenze in aree diverse, ovvero, tipicamente: troppi stimoli verbali e cognitivi, pochi o troppo settoriali quelli relazionali e corporei, disfunzionali quelli specifici dell’attaccamento.

Volendo rappresentare il tutto con un esempio ricavato dall’alimentazione, potremmo dire che il corpo umano estrae i nutrienti di cui abbisogna da tutti gli alimenti che vengono introdotti, ed è il corpo stesso a selezionare di volta in volta quello che gli serve. Se la dieta è sufficientemente variata possiamo dire che vengono soddisfatti complessivamente tutti i bisogni nutritivi, ma se essa diviene troppo ristretta, sbilanciata o scarsa, il corpo non trova più tutto il necessario e possono crearsi disfunzioni, patologie o altri disturbi. Fuor di metafora, la dieta di esperienze relazionali, corporee e emotive di un bambino medio di oggi è contraddistinta da squilibri e disarmonie con significative carenze e eccessi tali per cui la costruzione progressiva e intrecciata delle varie intelligenze e delle funzioni esecutive può mancare di parti rilevanti. Quando poc’anzi ho affermato che questa tipologia di bambini ha bisogni normali ma disattesi mi riferisco proprio al fatto che le condizioni in cui essi si sviluppano rischiano di essere, e talvolta sono troppo lontane dalle aspettative di cui il sistema nervoso umano è portatore. La grande flessibilità che ci contraddistingue ha portato a considerare infinite o quasi le possibilità di adattamento del bambino al suo ambiente di crescita, ma ciò non corrisponde al vero: per quanto flessibili, le capacità di adattamento dei nostri cuccioli hanno dimensioni finite. Esiste quindi una normalità bioevolutiva entro la quale si collocano i bisogni normali ma disattesi dei bambini D. Quando ci si allontana troppo da essa si verificano carenze e disarmonie, il cui risultato più tipico è un bambino intelligente (nella norma o sopra), effervescente e curioso, ma disorganizzato, assai carente nelle capacità di contenere gli impulsi, di dirigere le proprie azioni, di esser contenuto dalla parola dell’adulto. Un bambino che non è portatore di alcuna patologia propriamente detta, ma che è “antropologicamente” inadatto alla vita scolastica tradizionalmente intesa, a causa dei suoi tempi di attenzione brevi, della sua ricerca continua di stimoli, della sua intolleranza all’attesa e al vuoto, del suo spasmodico bisogno di attenzione esclusiva da parte dell’adulto, nella aurorale consapevolezza che non può svilupparsi in modo congruo senza di essa. Egli sconta in qualche modo la sua propria disorganizzazione nelle varie aree:

  • Disorganizzazione motoria, per aver vissuto troppo a lungo sballottato da un ambiente chiuso all’altro, in automobile, in passeggino, senza poter esplorare l’ambiente fisico con il proprio corpo. Al massimo, egli riceverà un addestramento formale in uno specifico sport dove potrà perfino eccellere sotto lo sguardo fiero di mamma e papà, ma continuerà a conoscere il proprio corpo non come fenomeno vitale emergente, ma soltanto come strumento.

  • Disorganizzazione affettiva, per aver subìto distacchi troppo precoci e lunghi dalle figure di attaccamento. Non riesce a fidarsi davvero dell’adulto, non riesce a costruire un rapporto significativo con esso al di fuori della famiglia e spesso anche all’interno di essa. Vive una incolmabile ansia per la separazione, piange a lungo al distacco entrando a scuola o rifiuta di entrare. Cerca disperatamente il contatto con l’adulto al momento del dormire. Oppure abbandona la speranza dell’attaccamento e vive in una dimensione di superficie e di evitamento del legame, diventando un iperattivo “amico di tutti” e dunque in fin dei conti di nessuno.

  • Disorganizzazione attentiva, per carenza di tutte quelle esperienze stratificate che portano a maturazione i circuiti neurali preposti all’attenzione (scambi affettivi con la madre, scambi verbali, ostensione e presentazione degli oggetti da parte dell’adulto, relazioni significative e orientate da una figura-guida, esperienze motorie spontanee, gioco libero… E tanto altro). Essi sono quasi sempre squilibrati nel focus dell’attenzione: completamente assorbiti da sé stessi e da stimoli interocettivi e egosintonici, o viceversa iper-vigili verso l’ambiente in modo non selettivo (con conseguente alta distraibilità). Per molti bambini D l’unico stimolo in grado di orientare e focalizzare a lungo l’attenzione è costituito da quei potentissimi dispositivi elettronici (con relativi raffinatissimi software) chiamati videogiochi. Attaccati alla consolle (Playstation, Xbox, ecc.) o al tablet, certi bambini possono erogare livelli di attenzione sostenuta impensabili in altri contesti.

  • Disorganizzazione delle autonomie, per aver vissuto una miscela sbilanciata di iper protezione e spinte anticipate al far da sé, miscela spesso ritagliata esclusivamente sui bisogni concreti e affettivi del genitore.

  • Disorganizzazione del rapporto emotivo e cognitivo con sé stessi. Questi bambini operativamente “non sanno chi sono”. Le precedenti forme di disorganizzazione, sommate insieme, generano un individuo incapace di “esserci”. Il suo corpo è rimasto due volte svuotato, dapprima del contatto pelle a pelle prolungato e rassicurante, in seguito della sana esperienza spontanea dell’esplorazione motoria. Ne risultano appetiti variamente insaziabili in uno o in entrambi i campi. Abitano corpi vuoti e sconosciuti, questi bambini dell’horror vacui, continuamente affamati di stimoli esterni che non sanno interiorizzare né far durare. Il disconoscimento del corpo, affettivo cognitivo e percettivo, porta spesso a fenomeni crescenti dello spettro ansioso e ipocondriaco.

Immaginare classi formate solo da bambini disorganizzati oltre che spaventoso è anche fuorviante: prima di tutto perché le caratteristiche di disorganizzazione descritte possono variare molto per intensità e per dosaggio complessivo, creando situazioni personali sfumate, mutevoli e in definitiva uniche. In secondo luogo queste caratteristiche si vanno a sommare algebricamente ad altre variabili personali, che spostano gli equilibri individuali sia in direzione della resilienza e della adeguatezza che in direzione opposta, verso anomalie importanti fino alla patologia, o a quella pseudo-patologia sovradiagnosticata denominata ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività). Si tratta in realtà di una mera sindrome, o ancor meglio di un aggregato variabile di sintomi dalla eziologia vaga, molteplice e confusa, come ammise candidamente lo stesso psichiatra Leon Eisenberg, che per primo quaranta anni fa codificò l’ADHD, in una sua intervista al settimanale tedesco Spiegel: “L’ADHD è il primo esempio di malattia fittizia” e ancora: “La predisposizione genetica per l’ADHD è completamente sopravvalutata”.

Nella mia esperienza concreta di psicologo nella scuola credo di poter affermare che il bambino fortemente disorganizzato è ancora largamente minoritario: potremmo approssimarlo grossolanamente a meno di un individuo ogni venti, dunque al di sotto del 5o centile. Se spostiamo invece l’attenzione verso bambini variamente disorganizzati, che presentano solo alcuni tratti o anche tutti ma in grado lieve, allora le proporzioni cambiano e arrivo a immaginare che questa tipologia di alunno non solo rientri già assolutamente nella norma, ma che gradualmente finisca con l’occupare la zona centrale e maggioritaria.

by-nc-saQuest’opera di Franco Nanni è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.